Palazzo Lombardia, sede della Regione, è un complesso che sorge su un’area di oltre 33 mila metri quadrati, si ispira all’armonia dei crinali dei monti lombardi, riprodotti nei quattro lunghi edifici curvilinei.
Nell’idea dell’architetto Henry N. Cobb c’erano : “sinuose curve di uffici lineari che si intersecano” con l’obiettivo di “plasmare una sequenza di paesaggi urbani pubblici, aperti a tutti, che arricchiscono il tessuto spaziale della città”.
Opere che volutamente riproducono – per riportare alla mente – caratteristiche di un territorio, di un luogo già esistente ma che funzionalmente ha altre necessità.
La storia è piena di esempi: le Ziqqurat, piattaforme cultuali sovrapposte, diffuse lungo tutta la Mesopotamia e sull’altipiano iranico, secondo gli antropologi erano la riproduzione del ricordo delle montagne che i sumeri avevano portato con loro migrando nel delta del Tigri e dell’Eufrate da una regione settentrionale più montuosa o semplicemente celebarazioni della montagna.
Montagne, fiumi, palazzi, ponti, piazze sono tutte immagini impresse nella nostra mente. C’è un bel libro “Il mondo dell’oggetto evocativo” scritto da Christopher Bollas che dedica un capitolo al rapporto tra architettura ed inconscio. Nel dettaglio esamina in quale modo il paesaggio costruito in cui viviamo rispecchia la natura inconscia della vita collettiva che si manifesta negli edifici e nelle città.
Gli edifici sono il frutto dell’immaginazione umana. Accanto alla struttura fisica, si nasconde anche una struttura psichica condizionata da diversi elementi: il suo utilizzo e funzione, il messaggio artistico e progettuale, le richieste del committente, la reazione degli abitanti.
La costruzione di una nuova struttura così come la trasformazione di uno spazio urbano spesso devono fare i conti con lo shock dell’abitante di perdere il proprio luogo ed i propri punti di riferimento mentale.
La demolizione, ad esempio, porta con sè il riverbero della cancellazione della memoria di un luogo e richiede un processo di accettazione. Coloro che assistono all’abbattimento di un immobile avranno sempre in mente due edifici: quello distrutto e quello che ne ha preso il posto.
Molti architetti, consapevoli della funzione psicologica di un posto, nel costruire il nuovo fabbricato rendono onore a quello demolito mantenendo in vita una parte dello stesso oppure riproducendo qualcosa che lo richiami in modo da ingannare la mente e non far sembrare la costruzione come nuova oppure cercano di farla apparire come la progressione nel futuro del vecchio edificio.
Secondo Bollas per identificarci con una nuova opera, proiezione del nostro futuro, la struttura non dev’essere molto lontana dalla nostra visione immeditata per non annullare l’idioma immaginario della generazione presente.
Se una costruzione si allontana troppo dal presente e va troppo nel futuro potrebbe avere un effetto opposto nella persone che vedono invaso eccessivamente il proprio tempo attuale.
E’ quanto accaduto probabilmente con la torre Eiffel che inizialmente venne vista negativamente da quasi tutti i parigini e dall’èlite artistica del tempo, perché considerata inadatta alla città.
La sua struttura in ferro contrastava con una città raffinata e classica come Parigi.
L’intenzione era quella di demolire la torre alla fine dell’esposizione universale, ma venne salvata perché considerata una buona piattaforma da utilizzare per le antenne delle varie radio. Nel corso del tempo, però, i parigini hanno imparato ad amare e fare propria questa struttura che è diventata oggi il simbolo della città.
La fornitura di nuovi edifici è spesso l’obiettivo principale di grandi progetti di rigenerazione, ma la costruzione non è tutto. Ogni buon progetto di rigenerazione richiede lungimiranza sull’utilizzo degli edifici e sugli spazi tra gli edifici e sul come le persone li useranno.
Per una riqualificazione rispettosa delle aspettative degli abitanti bisogna, allora, tenere conto anche dell’aspetto psicologico dell’architettura e del rapporto tra il contesto urbano ed il sentire della gente che il situazionista francesce Guy Debord chiamava Psicogeografia ossia lo studio degli effetti psichici del contesto geografico sul comportamento degli individui.
Un metodo ritenuto efficace per determinare le forme più adatte di decostruzione di una particolare zona metropolitana.
La psicogeografia si serviva della Deriva come tecnica dell’esplorazione psicogeografica, una sorta di passeggiata non affrettata che lasciava spazio all’esplorazione, all’osservazione analitica, allo studio scientifico di lettura della città.
La teoria della Deriva propone l’idea dell’architettura e dell’urbanistica come risultato delle mutazioni dello sguardo di chi le attraversa: “… un quartiere urbano non è determinato soltanto dai fattori geografici ed economici ma anche della rappresentazione che ne fanno i suoi abitanti e quelli degli altri quartieri ”.
In campo architettonico la deriva si pone come obiettivo quello di arricchire l’informazione bidimensionale della cartografia di una città dotando l’osservatore di strumenti (fotografia, registrazione audio-video, mappe emozionali, ecc.) di tecniche d’indagine personale del territorio che possano aiutarlo a leggere ed esprime il territorio e lo spazio in maniera soggettiva.
Oggi la psicogeografia è diventata un’attività multidisciplinare che comprende tutto ciò che è finalizzato alla comprensione del territorio: la sociologia, l’economia, la geografia, l’antropologia, l’urbanistica, ma anche la letteratura, l’arte, ecc.
Percorrere il territorio, rigorosamente a piedi, usando il metodo psicogeografico, significa comprendere e interpretare il paesaggio contemporaneo e reale nella sua complessità e superando i luoghi comuni in modo da potergli restituire la sua identità attraverso l’indagine e la narrazione del sentire delle persone che lo hanno abitato e che continuano ad abitarlo.
All’interno della personalità della città e più in generale di un territorio si muovono i cittadini che, richiamando il titolo di una poesia di William Blake, sono “Viaggiatori mentali” e come tali scelgono spazi e percorsi espressione della loro individualità e ciò che per loro sarà evocativo non lo sarà probabilmente per un’altra persona.
Oggi però non sono più i tempi dell’Esposizione Universale Parigina.
Abbiamo a disposizione le tecnologie predittive, come ad esempio il Digital Twin, che possono venire in aiuto alla Psicogeografia creando dei modelli capaci di mostrare preventivamente alla comunità come un nuovo palazzo, arredo urbano, giardino, ecc. si inserisce e si comporta nel contesto urbano esistente, aiutando, attraverso la comparazione anticipata e non successiva, il processo di accettazione del nuovo.
Linkografia
Placemaking e rigenerazione urbana
Teoria della deriva: spazio e territorio
Digital Twin o Gemello digitale
Crediti
Foto di ZACHARY STAINES su Unsplash
Foto di Shayan Ghiasvand su Unsplash