Disturbo umano fra geografia e antropocene

L’uomo, nella sua evoluzione di essere vivente colonizzatore, ha deciso di piegare tutte le forze e forme della natura al soddisfacimento dello sviluppo vorticoso e caleidoscopico dei propri bisogni.

Siamo a Cuervanaca in Messico, anno 2000, alla conferenza dell’International Geosphere-Biosphere Programme, si discute dell’impatto che l’attività umana ha prodotto sul pianeta, Paul Crutzen, chimico dell’atmosfera e vincitore del Nobel per il suo lavoro sullo strato di ozono, afferma con veemenza che: «Non siamo più nell’Olocene, bensì nell’Antropocene!».

Da allora il termine, già coniato negli anni Ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer, ha finito per identificare un’epoca geologica – successiva alla richiamata Olocene, iniziata circa 11 mila anni fa – caratterizzata dal dominio assoluto degli esseri umani.

Questa forma di domino dell’uomo sulla natura, che si manifesta con atteggiamenti particolarmente invasivi, ha avuto inizio nel 1760 in piena Rivoluzione Industriale quando la combustione su larga scala di carbone, petrolio e gas ha consentito il passaggio a nuovi processi di produzione, da quelli manuali a quelli meccanici.

Ma è nell’ultima parte del XVIII secolo e, più precisamente, quando le analisi dell’aria intrappolata nel ghiaccio polare mostrarono l’inizio di crescenti concentrazioni globali di anidride carbonica e metano, che si può formalmente affermare che ha avuto inizio l’epoca dell’Antropocene.

Data che coincide, tra l’altro, con il progetto di James Watt del motore a vapore nel 1784.

Da questa data in poi l’attività umana si è sempre più intensificata ed ha dato un’accelerazione violenta.

I ricercatori della Oxford University hanno condotto uno studio per cercare spazi sulla Terra che non siano stati sfiorati dall’uomo. Dalla ricerca è emerso che non esiste alcuno spazio che non abbia visto seppur marginalmente la presenza o intervento dell’essere umano.

Negli ultimi tre secoli la popolazione umana è aumentata di dieci volte e si prevede che raggiungerà i 10 miliardi in questo secolo. Secondo le ultime proiezioni delle Nazioni Unite la popolazione mondiale potrebbe crescere fino a circa 8,5 miliardi nel 2030 e 9,7 miliardi nel 2050.

Si prevede che raggiungerà un picco di circa 10,4 miliardi di persone durante gli anni 2080 e rimarrà a tale livello fino al 2100.

Circa il 30-50% della superficie terrestre è antropizzata e sfruttata dagli esseri umani. Si salva approssimativamente il 20% del pianeta.

Le zone in cui è meno presente l’uomo sono quelle particolarmente fredde e/o calde, mentre una percentuale compresa tra il 48% e il 56 % è occupata da aree dove l’attività dell’uomo è minima e ancora gestibile, ad esempio le zone di campagna dove si pratica allevamento ed agricoltura di sussistenza.

Le foreste pluviali tropicali stanno scomparendo a un ritmo veloce rilasciando anidride carbonica e aumentando fortemente l’estinzione delle specie.

A tal proposito il professore David Bauman, docente alla Scuola di Geografia e Ambiente presso l’Università di Oxford, nei suoi studi, evidenziando il fatto che gli alberi delle foreste pluviali, soprattutto quelle australiane e dell’Amazzonia, stanno morendo a un ritmo due volte superiore rispetto al passato, mette in guardia sulla necessità d’intervenire prontamente.

Il cambiamento climatico sta trasformando le stesse foreste pluviali in agenti inquinanti poiché il riscaldamento globale influenza il normale processo di fotosintesi portando gli alberi delle foreste pluviali a produrre anidride carbonica invece di ridurla per immettere ossigeno nell’atmosfera.

La costruzione di dighe e la deviazione dei fiumi stanno alterando completamente i sistemi naturali.

Gli allevamenti intensivi da soli sono responsabili del 14,5% delle emissioni totali di gas serra e il 40% dei terreni è coltivato per la produzione di mangimi.  Il 60% della biomassa dei mammiferi sul pianeta è costituito da bovini e suini da allevamento.

Il 70% della biomassa degli uccelli del pianeta è pollame da allevamento. Solo il 30% è costituito da specie selvatiche.

Più della metà di tutta l’acqua dolce accessibile viene utilizzata dall’umanità.

Il consumo di energia è cresciuto di 16 volte nel corso del ventesimo secolo, causando 160 milioni di tonnellate di emissioni di anidride solforosa atmosferica all’anno, più del doppio della somma delle sue emissioni naturali.

In agricoltura viene applicato più fertilizzante azotato di quanto non sia fissato naturalmente in tutti gli ecosistemi terrestri.

La combustione di combustibili fossili e l’agricoltura hanno causato aumenti sostanziali delle concentrazioni di gas serra raggiungendo i livelli più alti negli ultimi 400 millenni.

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Ai disastri causati dall’uomo bisogna aggiungere quelli provocati da madre natura.

Il primo disastro più importante della storia, che ebbe importanti ripercussioni in Europa per diversi anni, si pensa addirittura che determinò la carestia che portò allo scoppio della Rivoluzione Francese, si verificò tra il 1783-84 con l’eruzione del vulcano islandese Laki che emise per oltre otto mesi gas vulcanici che formarono sull’Europa una nebbiolina potentemente velenosa e tossica, di colore azzurro, che rimase in sospensione nei cieli per lungo tempo.

I terreni furono completamente contaminati e morirono più del 50% del bestiame presente sull’isola causando, inoltre, una carestia che produsse oltre 20mila abitanti, oltre quelli uccisi dall’eruzione.

L’eruzione produsse anche un importante cambiamento climatico. Il diossido di zolfo provocò un aumento del calore estivo su tutto il continente europeo. L’estate del 1783 fu tra le più calde mai avute fino a quel momento. L’inverno successivo in tutta l’Europa fu particolarmente rigido con abbondanti nevicate che nella sola Gran Bretagna provocarono oltre 8mila vittime.

L’eruzione del vulcano Laki produsse cambiamenti anche sul clima africano ed asiatico, furono, difatti, stravolti i monsoni indiani e la portata del fiume Nilo si ridusse abbondantemente.

Gli effetti dell’eruzione si fecero sentire a lungo anche negli anni successivi che furono caratterizzati da particolari condizioni climatiche – periodi di siccità, inverni rigidi ed estati calde – che contribuirono a creare uno strato sociale di popolazione sempre più povero ed affamato.

La storia ci ricorda che tutto è movimento e cambiamento. Che ci sono stati e ci saranno sempre periodi difficili di adattamento e compromesso tra l’uomo e la natura.

In questo tempo di violenta invasione umana si riaffaccia l’esigenza del giusto compromesso e la resilienza diventa più naturale che umana.

Dobbiamo impegnarci a creare un sistema capace di assorbire il “disturbo umano”.

Un sistema che sia “ridondante“, ossia capace di riorganizzarsi e adattarsi ai cambiamenti.

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Ogni pianta ha qualcosa di vitale da offrire alle altre, provate a piantare insieme granoturco, fagioli e zucchine.

Il granoturco garantisce con la sua altezza un sostegno naturale su cui possono arrampicarsi le piante di fagioli. I fagioli, a loro volta, producono e forniscono azoto, un nutriente che aiuta le altre piante a crescere meglio, la zucca, dal canto suo, rimane bassa al suolo, mantenendo umido il terreno e impedendo, con le sue foglie molto larghe, alle erbacce di attecchire.

Granoturco, fagioli e zucchine ci insegnano che la natura è collaborativa.

Il problema è l’istinto umano all’atuoreferenzialità.

Linkografia

Antropocene significato

Popolazione mondiale: statistiche, stime e proiezioni di crescita – Network Bibliotecario Sanitario Toscano (nbst.it)

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