Voglio solo un paese

Provate a scrivere e cercare su Google la domanda “Perché i paesi sono morti?”, la risposta sarà una serie di link che rimandano alla pandemia da Covid.

Riprovate a formulare la domanda sostituendo il termine paese con borgo. Il motore di ricerca vi restituirà una grande quantità d’informazioni sul fenomeno dello spopolamento dei borghi delle aree interne.

Questo banale esperimento serve a dimostrare che i paesi stanno scomparendo non soltanto dalla geografia territoriale, ma anche dal nostro vocabolario in favore del più “influencer” ed affascinante termine borgo.

Gli amministratori dei paesi dopo aver messo in cantiere tutte le soluzioni politiche hanno cercato di garantire la sopravvivenza dei propri paesi ricorrendo alla fascinazione per attrarre e soddisfare i bisogni più disparati e far diventare il proprio borgo “primo” in qualcosa.

E così sono nati il primo: Borgo dei gatti, Borgo dog, Borgo del benessere, Borgo a 1euro, Borgo del cashback, Borgo affrescato, Borgo vegetariano, Borgo telematico, Borgo accogliente con le persone con demenza, Borgo degli anziani, Borgo delle candele, Borgo degli artisti, Borgo più bello d’Italia, Borgo dei Borghi, Borgo certificato autentico, Borgo bandiera arancione, Borgo del cuore, Borgo diffuso, Borgo che vorrei e chissà quanti ancora ne usciranno.

I paesi non si rigenerano con gli slogan e proposte temporanee. Nel libro “La restanza” l’antropologo Vito Teti analizza il fenomeno della restanza come un nuovo senso dei luoghi, dell’abitare che riguarda non soltanto i piccoli paesi, ma anche le città.

“Partire e restare sono i due poli della storia dell’umanità. Al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, edificando un altro senso dei luoghi e di se stessi. Restanza significa sentirsi ancorati in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente”.

Per Vito Teti “riabitare significa ricostruire le comunità, creare le condizioni essenziali per consentire di rimanere a chi vuol restare, per favorire il ritorno di chi vuole tornare, per accogliere chi ha maturato la scelta della vita da paese…Ogni paese, ogni frazione, ogni villaggio – anche quello con un solo abitante – ha il diritto all’esistenza, ad essere curato, tutelato in quanto presidio geografico, culturale, mentale delle popolazioni”.

La pandemia aveva aperto in maniera violenta lo sguardo su nuove possibilità dell’abitare. I paesi sono stati assediati da persone bisognose di aria e rapporti autentici. Ma passato il pericolo i paesi sono ritornati nel letargo invernale.

Gli abitanti scappano perché mancano i servizi. La politica ha ragionato in termini affaristici e di numeri, incentivando e favorendo la diaspora. Come spiegato nel libro ‘L’Italia lontana’, a cura di Sabrina Lucatelli, Daniela Luisi, Filippo Tantillo “sono state le strutture dello Stato e dentro la classe politica e dirigente ad aver osteggiato la Strategia nazionale per le aree interne (Snai)”.

Se i paesi potessero avere nuovamente le scuole, le farmacie, i trasporti locali, le connessioni veloci, i servizi sociali e culturali, le banche, gli uffici postali, i presidi sanitari, probabilmente in molti non andrebbero via, altri ritornerebbero per costruire la propria famiglia in posti realmente capaci di offrire una migliore qualità della vita sia dal punto di vista sociale che economico.

Bisognerebbe mettere le persone in condizioni di poter scegliere tra situazioni che presentano vantaggi e svantaggi armoniosamente equilibrati. Si stanziano fondi in favore delle metropoli per rigenerare interi quartieri e renderli somiglianti alle piccole comunità, la famosa città dei 15minuti, per costruire boschi in altezza, per migliorare i trasporti e rendere le città sempre più connesse e green.

voglio

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stata l’ennesima occasione mancata. Ancora una volta si è pensato ai turisti, finanziando residenzialità temporanee e strutture collettive, tra l’altro, a vantaggio di pochi eletti, anziché pensare alle esigenze vere del territorio e degli abitanti: ossia la costruzione delle infrastrutture necessarie all’abitabilità continua.

Ma la città non è la nemica dei paesi. L’esaltazione degli aspetti negativi dei centri urbani non porta necessariamente ad amare i paesi. Sarebbe auspicabile costruire una Smart Land un territorio intelligente nel quale sperimentare politiche diffuse, condivise e orientate ad aumentare la competitività e attrattività del territorio con un’attenzione specifica alla coesione sociale, all’innovazione, alla diffusione della conoscenza, alla creatività, all’accessibilità, alla libertà di movimento, alla fruibilità dell’ambiente e alla qualità del paesaggio e della vita dei cittadini.

Interrogato sulla differenza tra smart city e smart land il professore Angelo Di Gregorio, Direttore del CRIET (Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del territorio) ha risposto: “La principale distinzione è territoriale: il contesto di una grande area metropolitana, come può essere quello di città come Torino per arrivare fino al caso limite di Roma, è molto diverso da quello della maggior parte dei circa 8.000 Comuni italiani di piccole dimensioni. In queste aree, il concetto di smart city deve necessariamente essere declinato più in termini di territorio, di una smart land che in qualche modo possa aggregare diverse aree comunali per erogare quei servizi tipici della smart city”.

mucca

Ed allora, perché i paesi non possono diventare smart come le città? Perché non possono avere gli stessi servizi che abbatterebbero il divario tra le due realtà? La tecnologia migliora la qualità della vita, non toglie il connotato tipico dell’autenticità, caratteristica tanto amata dei borghi.

Il mondo sta cambiando che ci piaccia o no. Per forza maggiore, probabilmente, nei prossimi anni saremo costretti a cambiare drasticamente il nostro modo di abitare i territori.

La tecnologia sta rimodellando i modi di vivere. Il lavoro a distanza si sta affermando come la nuova normalità per migliaia di aziende in tutto il mondo e molti lavoratori in smart working sono alla ricerca di posti salubri dove lavorare e costruirsi una vita.

Le nuvole minacciose della migrazione climatica, causate dall’aumento delle temperature globali e dagli eventi meteorologi estremi, non riguarderanno nel futuro molto prossimo soltanto le migrazioni esterne da Paese a Paese, ma si assisterà anche a migrazioni interne dalle città verso le montagne.

L’Internal Displacement Monitoring Agency ha calcolato che oggi le persone hanno il 60% per cento in più di probabilità di dover abbandonare la propria casa di quanto non ne avessero nel 1975. Dal 2008 al 2014 oltre 157 milioni di persone sono state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi come inondazioni, tempeste, incendi, siccità e temperature estreme.

L’Institute for Economics and Peace, un think tank con sede in Australia, ha indicato che ben 1,2 miliardi di persone potrebbero essere sfollate a livello globale entro il 2050 a causa degli effetti dei cambiamenti climatici.

Ed allora forse è arrivato il momento di essere lungimiranti e non farsi cogliere impreparati e cominciare a pensare a nuovi modi dell’abitare che restituiscano ai paesi la dignità di spazi dove vivere in una comunità che guarda al futuro e non ad un villaggio turistico dove rigenerarsi i polmoni e girare per sagre.

C’è una bella iniziativa del sindaco di Borgo San Lorenzo Paolo Omoboni che ha lanciato l’idea di accogliere in Mugello gli studenti fuorisede di Firenze.

Questo potrebbe essere un buon esempio di territori connessi che si uniscono per sfruttare reciprocamente le differenti potenzialità.

Più precisamente, nell’idea del sindaco: “Il Mugello può diventare una vera e propria opportunità di alloggio per gli studenti universitari. Da tempo leggiamo di affitti che ormai, a Firenze, hanno raggiunto prezzi davvero alti. Si va dai 600 euro per una camera singola, ai 450 euro a testa in una doppia.” Il Mugello da Firenze non è distante. Ci si mette meno a raggiungere il centro partendo da Borgo San Lorenzo, piuttosto che da alcuni quartieri del capoluogo. E anche di recente, a un convegno organizzato sullo sviluppo del Mugello, si è battuto soprattutto su questo tasto: avere collegamenti ferroviari migliori, più rapidi ed efficienti, con il giusto cadenzamento, e con servizi anche nella fascia serale – cosa al momento inesistente -, una vera e propria metropolitana di superficie, potrebbe modificare in modo significativo il futuro dell’area mugellana, avvicinandola ancor più a Firenze, che già oggi si raggiunge in soli quaranta minuti.” (La Nazione).

borgo

La narrativa urbano-centrica degli ultimi ’50 anni ha dimenticato, come più volte sottolinea, nei suoi progetti e nei suoi scritti di Geosofia Franc Arleo, che il Belpaese ha un’anima e una vocazione profondamente rurale e che tutta l’Italia, anche quella delle città, si potrà rialzare e camminare in un futuro migliore  se si ricorderà di avere una spina dorsale, quella degli Appennini e dei suoi paesi, e se agirà, anche politicamente, attraverso una distribuzione più equa di popolazione, servizi, innovazione e risorse fra i territori.

Linkografia

La Nazione Firenze cronaca Idea Omoboni: “Studenti in affitto a Borgo”

La restanza

Borghi da incubo

Smart city e smart land: definizione, caratteristiche, differenze. La metropoli diffusa quale forma di sviluppo e rivalutazione dei paesi delle Aree interne

Condividi / Share