Tecnologie immersive: cosa ci differenzia dalle formiche

In Come ci siamo presi il mondo, libro di Yuval Noah Harari, l’autore cerca di spiegare ai ragazzi, ripercorrendo la storia dell’umanità, il modo in cui gli uomini sono diventati così potenti tanto da imporsi come i signori del pianeta.

Infatti, non a caso, oggi viviamo nell’epoca dell’antropocene, l’era in cui tutto l’ambiente terrestre è dominato dall’azione umana.

Harari ci racconta che le formiche, come gli altri colleghi Imenotteri, amano vivere in colonie e che da migliaia di anni fanno esattamente le stesse cose: collaborano per procurarsi il cibo, si prendono cura delle larve, costruiscono formicai e si preparano per difendere la propria colonia da altri eserciti di formiche.

Diversamente dalle formiche che sanno organizzarsi in un solo modo e da migliaia di anni ripetono sempre le stesse cose, l’essere umano ha aggiunto alla capacità di organizzarsi l’abilità di saper raccontare delle storie.

Attraverso questa abilità l’uomo è stato in grado di cambiare continuamente il mondo in cui opera imponendosi su tutti gli altri esseri viventi che hanno continuato, invece, nella loro routine di sopravvivenza millenaria.

Nel Paleolitico Inferiore, circa 120.000 anni fa, l’uomo scopriva il fuoco e nel contempo capiva che poteva utilizzarlo per difendersi e per cuocere il cibo che diventava più facilmente digeribile. 

Ma è sempre intorno a quella fiamma che iniziano le narrazioni. 

Ogni scoperta era ed è ancora in funzione dei suoi bisogni fondamentali in un dato momento storico, culturale ed individuale.

Viviamo immersi in una disponibilità di manufatti tecnologici senza precedenti. 

Viviamo in un’accelerazione perenne di possibili rivoluzioni eppure abbiamo bisogno di contenuti narrativi, di storie, di racconti per comprendere il mondo intorno a noi. 

E’ in questo quadro evolutivo che vanno inquadrate anche le più moderne tecnologie immersive. Quelle tecnologie il cui scopo finale resta comunque quello di costruire una realtà narrativa accessibile, visualizzabile e in grado di restituire conoscenza ed emozioni. 

Da questo punto di vista i dispositivi ottici dedicati all’immersività sono ad oggi il campo sperimentale e d’innovazione delle più importanti società al mondo eppure il limite principale di queste tecnologie è l’isolamento dell’individuo dallo spazio circostante e dalla comunità umana. 

Queste tecnologie costituiscono il primo tempo di un cammino ben più ampio e inevitabilmente teso all’inclusione, alla condivisione e alla cooperazione. 

Pena la fine della sopravvivenza umana. 

Tutti i visori ottici tridimensionali hanno finora supportato l’idea di tenere il mondo circostante all’utente fuori e catapultarlo dentro un mondo parallelo immersivo ed esclusivo. 

Questo fino a qualche giorno fa, poiché come sappiamo, l’azienda che rivoluzionò nel 2007 il mondo della telefonia mobile ha presentato un visore la cui principale novità è quella di tentare di includere la realtà circostante all’individuo. 

Al di là di qualsiasi valutazione di successo o insuccesso di questa tecnologia è necessario focalizzare l’attenzione su questo punto:

non è il metaverso la vera evoluzione, non è ricreare un mondo parallelo e altro rispetto a quello in cui viviamo, ma narrare, vedere e condividere simultaneamente immaginazione e realtà, individuo e comunità. 

Le tecnologie immersive e i suoi contenuti o continueranno ad andare nella direzione di inclusione e condivisione oppure saranno destinate al fallimento poiché l’uomo ha già un grande spazio immersivo che è la propria creatività, la propria immaginazione. 

Le domande aperte che ci poniamo dal nostro osservatorio Geolander.it sono: 

  1. Come dovremmo utilizzare le tecnologie immersive nei prossimi anni per salvare i territori, le ruralità, le risorse, le città?
  2. Quali sono i mix tecnologici da intraprendere per costruire granai digitali in grado di preservare i semi della nostra umanità e i suoi costrutti narrativi? 

Di una cosa siamo certi: la nostra libertà e la nostra sopravvivenza nel tempo dipenderà molto dalla capacità di sviluppare tecnologie che preservano l’immaginazione, la narrazione e la cooperazione. 

 

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